In un venerdƬ mattina qualunque, un bergamasco conquista la sua quarta vetta in invernale, un primato assoluto nella storia dellāAlpinismo, che mai nessuno potrĆ ripetere. Lo stesso giorno, a Bergamo, si legge di questa impresa in un flusso di pensieri che accorcia le distanze grazie a una grande passione condivisa: quella per la Montagna.
Ć un semplice venerdƬ mattina di febbraio. Unāordinaria giornata di lavoro: sveglia, solito abito formale e la mente giĆ in corsa verso il fine settimana. Ā«A quanto pare il meteo prevede neve, la grande assente dellāinverno 2016Ā». Un caffĆØ e quella luce verde che lampeggia sulla tastiera ricordano che unāaltra giornata di lavoro sta per iniziare, proprio come tutte le altre. Se non fosse che da questa notte, 4 esploratori hanno iniziato la loro marcia solitaria verso una delle vette piĆ¹ alte della Terra, alla ricerca di un primato: la prima invernale sul Nanga Parbat.
Fa venir voglia di scappare fuori dallāufficio una notizia del genere. Qui a due passi ci sono le falesie, le Orobie, le stesse dove Simone Moro ha mosso i suoi primi passi di alpinista, in compagnia del suo grande amico Camos. Non importa lāaltezza della vetta, il dislivello e non contano nemmeno le difficoltĆ tecniche. Verrebbe solo da imboccare un sentiero e lasciarsi travolgere dalla natura… Ā«Dove si potrebbe andare domenica? Forse, se nevicherĆ , si potrebbe fare una corsa fino a Caā San Marco, non dovrebbe essere troppo freddo. Lo zero termico ĆØ previsto sopra i 1000 m…ĶĀ».
Freddo sƬ, ma ben diverso dal freddo himalayano che stringe in una morsa letale ogni parte del corpo, congelando persino i pensieri. E ancora piĆ¹ freddo doveva essere quello percepito dagli uomini leggendari che si spinsero fino laggiĆ¹, per i loro tentativi coraggiosi – e privi di qualsiasi tecnologia – per raggiungere quelle cime lontane, allora ancora inviolate. Quanto freddo deve aver patito Mummery nel suo avveniristico tentativo di accessi alla vetta del Nanga Parbat nel 1895? Una spedizione in stile alpino, ispiratrice di un approccio alla montagna che impiegherĆ anni prima di potersi imporre nuovamente. Neve, solo neve e freddo per Mummery e i suoi compagni, scomparsi nel nulla gelido di questa montagna himalayana, in un giorno dāagosto. DovrĆ sorgere lāestate del 1953 perchĆ© la Montagna Nuda – traduzione dalla lingua urdu di Nanga Parbat – possa essere domata dalla curiosa quanto ambiziosa esplorazione umana. La tenacia e lāesperienza di Hermann Buhl lo condurranno in vetta solo e senza ossigeno, il 3 luglio di quello stesso anno.
Ā«Lāuscita di domenica dovrebbe contare poco piĆ¹ di 500 m di dislivello positivo, su una pista che sicuramente sarĆ giĆ battutaĀ». …Ridicolo, rispetto a quanto sta accadendo ora sul Nanga Parbat, perchĆ© la stessa distanza a 8000 m richiede uno sforzo fisico inimmaginabile da una comoda sedia dāufficio. Niente tracce, solo neve e gelo, quindi dove saranno ora Simone Moro, Tamara Lunger, Alex Txicon e Ali Sadpara? La risposta arriva dal blog curato da Alessandro Filippini, da consultare come un oracolo, perchĆ© in grado di narrare, prima degli altri, la storia di unāimpresa epica, di uomini e donne straordinari. Con la sua penna – a buon titolo il riferimento dellāAlpinismo contemporaneo – il Sandro continua a raccontare storie dimontagna e di conquiste, cosƬ come di pazienza e determinazione, virtĆ¹ che i 4 in salita conoscono bene, considerati gli 80 lunghi giorni di attesa. Tre mesi consumati in una tenda piazzata sotto la tormenta del jet stream che non concede tregua per lunghe, anzi, interminabili ore spese lontano da casa, lontano da ogni cosa, in un ambiente inospitale. Senza perĆ² mai smettere di sognare.
Ed ĆØ quando il flusso di e-mail comincia a diminuire, perchĆ© la pausa pranzo ĆØ ormai vicina, che giunge La Notizia. Ć alle 11.34 di venerdƬ 26 febbraio 2016 che il sogno si avvera: la vetta del Nanga Parbat ospita 3 uomini nella stagione piĆ¹ rigida dellāanno, a unāaltitudine non adatta alla vita. Sono Simone, Alex e Ali, Tamara ĆØ poco piĆ¹ in basso, ha dovuto rinunciare alla cima. Viene voglia di gridarla questa conquista, questa gioia che deve colmare quel picco innevato e vuoto, quelle altezze che avevano giĆ respinto 29 spedizioni e che hanno chiesto il conto a troppi. GiĆ , perchĆ© il Nanga Parbat, che forse dalle 11.34 del 26 febbraio 2016 fa meno paura, ĆØ il secondo 8000 per indice di mortalitĆ . Oggi, perĆ², ĆØ solo festa, ĆØ solo vittoria, tanto che verrebbe da scrivere a tutta la mailing-list, per raccontare di quanto sta accadendo lassĆ¹, oltre le altezze delle Alpi, persino oltre lāElbrus, ancora piĆ¹ su.
Su, oltre 8125 metri sul livello del mare. Cos’ĆØ poi un 8000? Cosa si prova a pestare la neve, ad affondare i propri passi su un terreno cosƬ mistico e sacro? Cosa si sente, ma soprattutto, cosa succede quando un sogno si realizza? Non ĆØ dato sapere alle 12 di questa giornata di febbraio. Saranno i racconti di questi uomini a descriverlo, ispirando nuovi giovani esploratori appassionati, sensibili alle parole di questi conquistatori dellāinutile, di questi sognatori mai paghi. Per ora spazio solo allāemozione, nutrita dalle poche e ancor indefinite notizie che da lassĆ¹, cosƬ lontano, arrivano sino a questo ufficio, grazie alla passione condivisa per la Montagna, per la scoperta, per la voglia di riuscire.
Ā«Domenica la montagna chiama, per regalare i suoi paesaggi innevati: non si puĆ² di certo tradire la sua fiducia, la sua generositĆ Ā».
Niente pausa pranzo oggi. CāĆØ bisogno di scrivere, di raccontare:
Ć un semplice venerdƬ mattina.
Sara Taiocchi