Cecilia Flori, ostiense di nascita e cittadina del mondo ormai da tempo è una forza della natura. Poche e significative gare per innamorarsi del running e per capire di avere la stoffa della campionessa, che nel tempo libero arriva sui podi internazionali e per lavoro si occupa di fisica quantistica. Un giovane talento sportivo e una mente brillante che, purtroppo, l’Italia ha lasciato scappare (di corsa!).
Pensate ai vostri inizi con la corsa. Pensate ai primi e rudimentali allenamenti e pensate, dopo sole due settimane di uscite a sensazione, di correre la vostra prima mezza maratona, chiudendola in un’ora e 43 minuti. Impossibile? No, perché tutto è relativo. Quantomeno, lo è per una fisica italiana trasferitasi in Nuova Zelanda per diventare lecturer nel dipartimento di Matematica presso la Waikato University, al secolo: Cecilia Flori, un nome che si sta facendo conoscere in fretta nel contesto delle corse di ultra running.
L’abbiamo contattata, dopo la sua recente e spettacolare performance alla Tarawera Ultramarathon, dall’altra parta della Terra, per conoscerla e per potervi raccontare questa splendida storia. Non più una Cenerentola alla ricerca del Principe Azzurro, ma una studiosa che si occupa di buchi neri e spazio cosmico, che per rilassarsi corre gare di 100 chilometri.
Cecilia, raccontaci della tua infanzia, dovevi già essere già molto sportiva, giusto?
«Sono nata ad Ostia (Roma) dove ho vissuto fino a 18 anni. No, da piccola ho fatto nuoto sincronizzato per un paio di anni e poi softball, ma dai 13 fino ai 31 anni non ho fatto assolutamente nulla a livello sportivo».
Questo è davvero sconvolgente se constatato alla forza che stai dimostrando. Ma procediamo con ordine: raccontaci di che cosa ti sei occupata dopo aver lasciato l’Italia.
«Sono andata a studiare in Inghilterra, precisamente a York, dove ho preso una laurea in Fisica e Filosofia. Poi mi sono trasferita a Londra, per fare un master in pura Fisica e successivamente a Berlino per un PhD in Fisica Quantistica. In tutto questo tempo non ho praticato davvero nessuno sport».
Che tipo eri? Come ti descriveresti ai tempi dell’Università e degli studi?
«Ero un’intellettuale fricchettona, una hippy di sinistra, diciamo».
E una hippy come fa a diventare una vera sportiva quale sei tu oggi?
«Dopo Berlino, ho trovato un postdoc – post Dottorato, ndr – in Fisica Gravitazionale in Canada per 5 anni. È stato lì che, nel 2011, ho iniziato ad arrampicare e mi sono subito appassionata, specialmente al traditional climbing, in cui devi metter tu stessa tutte le protezioni. Durante i mie anni di arrampicatrice ho iniziato a correre per general fitness, una volta a settimana e al massimo per 5 o 6 chilometri. Senza orologio o altro, un po’ così…».
E la prima gara?
«Agli inizi del maggio 2014 un mio collega, con cui ogni tanto facevo quei 6 – per me, allora – lunghissimi chilometri, mi fece la famosa domanda: “Perché non provi a fare una mezza maratona?”. Ed io riposi: “Beh, perché non ho mai provato”. M’iscrissi».
Come ti sei preparata ai tuoi 21,097 chilometri d’esordio sulla mezza maratona?
«Feci due settimane di training che consistevano nel correre un giorno sì e uno no, aumentando la distanza, ma sempre a caso visto che non avevo un orologio. Al termine delle due settimane gareggiai nella mia prima half marathon. Avendo timore di dover andare in bagno durante la gara, la corsi a digiuno – genio – aggiunge, ndr. Finii con un tempo di 01h43′ con una fame da lupi e felicissima: avevo scoperto che amavo correre».
Cosa è successo dopo questo buon esordio?
«Comprai un orologio e inizia a correre più regolarmente. Dopo un mese corsi la mia prima 10 chilometri in 42 minuti, questa volta con tanto di colazione. Poi per un anno, dovendomi spostare spesso per lavoro, ho cercato di mantenere gli allenamenti, ma correre era più difficile. Nel luglio del 2015, dopo un lungo digiuno dalle gare, partecipai alla mia prima ultra: The North Face Endurance Challenge 50 miglia, arrivando terza donna, ancora non so come».
Continui ad allenarti sempre a sensazione oppure ora segui un programma?
Da quando sono arrivata in Nuova Zelanda (marzo 2016), ho iniziato ad allenarmi seriamente ed ora ho anche un allenatore. Avendo un lavoro molto impegnativo, dedico quasi tutto il mio tempo libero alla corsa, correndo 140 km a settimana, con almeno un giorno di speed work». Seguitela su Strava!
Quindi corri anche su asfalto?
«Cerco di correre il più possibile sui trail, ma anche correre su strada ha i sui vantaggi, perché aiuta a sviluppare la velocità. In genere corro da sola. Immergermi da sola nella natura mi dà un grande senso di libertà e di forza».
Cecilia, svelaci un segreto: prima di Tarawera quali altre gare ultra da 100 chilometri avevi già corso?
«Tarawera è stata la mia seconda gara di 100 km. La prima fu in ottobre, la Taupo 100 km».
Con quale risultato?
«Prima donna e terza nella classifica assoluta».
Ti piacerebbe correre in Italia?
«Non ho mai gareggiato in Italia, ma i mie ancora vivono lì, quindi torno spesso per fare loro visita. Spero un giorno di poter gareggiare anche in Italia».
Sara Taiocchi