fbpx
martedƬ, Aprile 23, 2024

Guido Caldara: “Il trail ci riporta a casa”

Questa settimana Montagna Express ha incontrato Guido Caldara, il ciuffo biondo del Trail running, per molti la rivelazione della seconda edizione di Orobie Ultra Trail, con il suo secondo posto, dietro a Oliviero Bosatelli. Gli abbiamo chiesto di raccontarci il suo percorso per diventare un trail runner e lui l’ha fatto condividendo tutta la sua infinita passione per questo sport, senza dimenticare di parlarci del suo recente viaggio in Nepal, al cospetto delle vette piĆ¹ alte della Terra.

guido_caldara
Guido Caldara

CosƬ, tra una risata e unā€™e-mail densa di ricordi, riflessioni e spunti, Guido ci ha descritto come abbia abbandonato due pacchetti di sigarette quotidiani, in favore di scorribande su e giĆ¹ per la ciclabile Seriana, nel tratto di Cene e Albino e di come il ragazzino ventenne che si allenava con semplici scarpe da ginnastica e tuta pesante si sia trasformato nel principe delle Orobie.

Una cartolina dal passato: chi era Guido Caldara prima di iniziare a correre e quando ĆØ avvenuta la svolta?
Ā«Ho iniziato a correre a 20 anni, non appena smesso di fumare. Alla fine del primo anno di universitĆ  arrivavo tranquillamente a due pacchetti di Marlboro Light al giorno e allā€™ennesima bronchite ho deciso che era lā€™ora di smettere. Erano ormai piĆ¹ di due anni che non praticavo la benchĆ© minima attivitĆ  sportiva e ho pensato che iniziare a farmi venire il fiatone avrebbe potuto essere un buon modo per dimenticare le sigarette senza mettere ulteriore peso. Allā€™inizio non ĆØ stato facile, la condizione era pessima. Al test di Cooper della quinta superiore avevo percorso 1,5 km in 12 minuti e nellā€™anno e mezzo successivo la forma era persino peggiorata. Uscivo due o tre volte a settimana sulla pista ciclabile la sera, in modo tale da non incontrare nessuno, con una tuta in cotone pesante con cappuccio e un paio di Asics Tiger ai piedi… un drammaĀ».

Se questo era il punto di partenza, ora invece sei arrivato molto lontanoā€¦
Ā«Ho raggiunto traguardi che credevo irraggiungibili e ho imparato l’importanza di credere in quello che si fa. A volte si vince e a volte si perde, ma se si persevera e non si molla l’obiettivo, prima o poi qualche soddisfazione ce la si puĆ² togliere. Ho scoperto che si puĆ² ridefinire ogni volta il concetto di limite, il che mi ha aiutato tanto anche in altri campi, non solo quello sportivo. E poi grazie allo sport ho trovato un lavoro che mi ha dato l’opportunitĆ  di spostarmi, vivere in posti nuovi e conoscere tantissime personeĀ».

Guido Caldara
Guido Caldara

Quindi con la corsa ĆØ iniziata una rivoluzione a 360Ā°? Che cosa ha cambiato in te?
Ā«La corsa mi ha cambiato in tutti i sensi, da un punto di vista fisico cosƬ come mentale, dalle amicizie al lavoro. Innanzitutto, ed ĆØ la cosa piĆ¹ importante, mi ha fatto scoprire la montagna e me ne ha fatto innamorare, oltre che a permettermi di visitare ā€“ grazie alle gare – un sacco di posti bellissimi. Ho anche conosciuto tantissime persone, alcune sono diventate grandi amici, con altre ci ho scambiato anche solo una chiacchierata, ma tutte mi hanno lasciato qualcosa e sicuramente mi hanno fatto crescere. Sembra retorica, ma ti assicuro che ĆØ vero: chi fa gare lunghe non ĆØ mai una persona piatta. Tutti hanno un sacco da raccontare. Forse siamo solo tutti un po’ fuori di testa (ride, nda)Ā».

Che cosa ĆØ il Trail, Guido?
Ā«Cosā€™ĆØ il Trail me lo chiedo spesso. ƈ una di quelle domande difficili, come: ā€œPerchĆ© lo fai?ā€ o ā€œChi te lo fa fare?ā€ a cui a volte si risponde chiamando in causa la passione, il ā€œMi fa stare beneā€ o cose simili. Penso sostanzialmente che il Trail, o piĆ¹ semplicemente il muoversi nella natura in modo estremo, sia una specie di bisogno innato, insito in noi. Non so bene se si possa parlare di inconscio, di dna o di quale altro contenitore, ma ĆØ qualcosa che in un certo senso ci appartiene. Il Trail fa riaffiorare alcuni istinti primordiali. Non posso, infatti, non notare una serie di elementi che mi rimandano al mondo primitivo, a una sorta di ritorno alle originiĀ».

A quali elementi ti riferisci in particolare?
Ā«In primo luogo vedo nel Trail un ritorno alla montagna o piĆ¹ in generale alla natura, un bisogno di staccare dal mondo artificiale per fare ritorno a quello selvaggio. In Walking, Thoreau dice: ā€œIn Wildness is the preservation of the worldā€ e credo che questa frase sia fantastica. Penso che, in fondo, si cerchi un contatto con la natura perchĆ© ĆØ da lƬ che veniamo, il Trail ci riporta a casa. In secondo luogo, il Trail ĆØ viaggio, movimento, avventura. Nasciamo senza radici, pronti per muoverci e il modo piĆ¹ semplice che abbiamo per farlo sono le nostre gambe. Correre le lunghe distanze ĆØ un poā€™ come viaggiare, ci trasforma in moderni esploratori. Raramente oggi ci muoviamo a piedi, ma il Trail offre la possibilitĆ  di riprendere questa abitudine. Unā€™altro aspetto di questo puzzle, forse il piĆ¹ sorprendente, ĆØ quello legato alla sofferenza. Nessuno correrebbe Trail se non facesse fatica. Se fosse facile non ci piacerebbe e a pensarci bene ĆØ assurdo.
Ma ancora ripenso alla natura primitiva, allā€™uomo e al suo istinto di sopravvivenza che gli ha permesso di superare difficoltĆ  di ogni tipo ed evolversi. Di certo – per fortuna! – nel Trail non si lotta per rimanere in vita, ma in qualche modo si porta il proprio corpo fino a condizioni estreme. Sfruttiamo al massimo il piĆ¹ grande strumento che abbiamo, per renderci conto della sua forza. Lā€™ultimo aspetto, infine, ĆØ quello legato al tempo, e non parlo di cronometro. Il tempo scandisce la nostra vita e il Trail mi permette di riprenderlo in mano, di diventarne padrone. Quando corro sono un viaggiatore in mezzo alla natura e lo scorrere del tempo diventa tutt’uno con il mio andare avanti. Lā€™orologio alla fine darĆ  un verdetto, ma quello ĆØ solo il suo punto di vista, spesso lontano dal mio. Natura, viaggio, fatica e tempo. Questo per me ĆØ il Trail e non posso farne a meno perchĆ© questi elementi ce li ho dentroĀ».

guido-caldara-marco-zanchi-rid
Guido e Marco Zanchi

Torniamo ai tuoi esordi nella corsa. Come sono procedute le cose?
Ā«Quando mi impunto su qualcosa vado fino in fondo e cosƬ in un annetto ho cominciato a rimettermi in forma raggiungendo prima i 5 km e riuscendo poi addirittura a superare i 10 km. Settimana dopo settimana, mi sentivo sempre meglio fisicamente. Dopo avere imparato a memoria i tratti della ciclabile, ho provato a lasciare la pianura per provare a salire sui sentieri intorno ad Albino. Sono nato sotto il Misma e il Cereto e fino a 21 anni non ci ero mai salito, ma la cosa piĆ¹ incredibile ĆØ che non mi era mai venuto in mente di farlo! Nel 2009 Mario Poletti faceva il record del sentiero delle Orobie a pochi chilometri da casa mia e io non sapevo nĆ© dellā€™esistenza dello Skyrunning nĆ© di quella del Trail. Onestamente non sapevo nemmeno che ci fosse un ā€œSentiero delle Orobieā€, dato che in montagna non ci ero mai stato in vita mia. Ho scoperto che correre in montagna era uno sport vero e proprio e che cā€™era chi lo faceva anche per piĆ¹ di cento chilometri e in qualche modo ho deciso che, prima o poi, avrei fatto una cosa del genere e quando mi metto in testa qualcosa, poi difficilmente molloĀ».

FinchĆ© ĆØ arrivata appunto la prima gara: dove e quando ĆØ successo?
Ā«Nel 2010 ho provato a iscrivermi alla Skymarathhon delle Dolomiti Friulane, 20 km e 1500 m di dislivello. Davanti cā€™erano Tadei Pivk e altri atleti che allā€™epoca non avevo mai sentito nominare e poi cā€™ero io, che in poco meno di tre ore e con crampi ovunque sono riuscito a tagliare il traguardo, 53esimo su 220 iscritti. Era il 29 agosto 2010 e io ero diventato un vero skyrunner. A fine 2010 ho conosciuto quasi per caso Cinzia Bertasa e con il suo aiuto, nel 2011 mi sono iscritto allā€™Iz Skyrunning capitanata da Zanchi. Lā€™obiettivo era di chiudere la mia prima Skymarathon e ci sono riuscito a novembre, sui 42 km della Maddalena Urban TrailĀ».

Il pensiero perĆ² era piĆ¹ per le gare lunghe, giusto?
Ā«PiĆ¹ le gare duravano e piĆ¹ mi divertivo e cosƬ negli anni successivi ho continuato ad allungare le distanze. Nonostante un 2012 passato senza correre, ma solo pedalando a causa della pubalgia, nel 2013 ho corso la mia prima 60 km e ho ottenuto i punti per partecipare alla Ccc del 2014. Lā€™obiettivo perĆ² era a lungo termine perchĆ© giĆ  nella primavera del 2013 provavo con Marco il percorso di una ā€œmisteriosaā€ gara in versione xl che si sarebbe svolta sulle Orobie di lƬ a un paio dā€™anni. Non si sapevano ancora nĆ© nome nĆ© distanza, ma mi era chiaro che avrei dovuto esserci. Nellā€™ottobre di quellā€™anno ho accompagnato Marco al Tor des GĆ©ants e mi ĆØ scattata unā€™altra scintilla: gli obiettivi per i prossimi due anni erano chiari.
Nel 2014 ho corso la Ccc superando per la prima volta la soglia psicologica dei 100 km e ormai mi sentivo pronto ad andare oltre. Nel 2015 ho trasformato i sogni in realtĆ  correndo prima lā€™Orobie Ultra Trail e poi il Tor des GĆ©ants, interrotto purtroppo quando ero al 270esimo chilometro. Nel 2016 ho corso la mia stagione migliore, nonostante fossi partito senza troppo aspettative iniziali, ho ottenuto ottimi risultati… Resta solo il rimpianto di non essere stato estratto per partecipare al TorĀ».

guido_caldara_nepal
Il viaggio in Nepal

Montagna e lunghe distanze. Hai completamente rinunciato agli allenamenti su asfalto? Come fai a conciliare la preparazione con gli impegni quotidiani? Pratichi anche altri sport?
Ā«In settimana mi alleno solo su strada, su terreno collinare. Altri sport, beh, faccio un po’ di sci alpinismo d’inverno (piĆ¹ che altro su e giĆ¹ a bordo pista) e ogni tanto faccio qualche uscita in bici da corsa, soprattutto nelle settimane post gara. In stagione mi alleno piĆ¹ o meno tutti i giorni. In pausa pranzo riesco a correre dai 10 ai 17-18 km su asfalto collinare, mentre nei giorni liberi faccio allenamenti piĆ¹ lunghi, raramente perĆ² oltre le 4 oreĀ».

Nelle tue giornate e nel tuo mondo non cā€™ĆØ piĆ¹ soltanto la corsa perĆ². Raccontaci del tuo viaggio in Nepal: cosa ha lasciato dentro di te?
Ā«Vedermi sotto un ottomila metri mi ha fatto sentire piccolo piccolo, ne ero intimorito ma allo stesso tempo attratto, come se ci fosse qualcosa che in qualche modo ci unisse. Poi i sorrisi della gente, i colori, i profumi: ĆØ stato amore a prima vista. Semplicemente mi sono reso conto, in modo definitivo, che amo la montagna, la natura e ho bisogno – un forte bisogno – di muovermi e di scoprireĀ».

Sara Taiocchi

RELATED ARTICLES

Most Popular