
Spesso negli sport di resistenza si assiste a scene singolari. Ciclisti che cadono e arrivano al traguardo nonostante fratture varie, ultra trailer che non si arrendono di fronte a mani sanguinanti, alpinisti che fronteggiano crampi e geloni, sciatori che costringono muscoli indolenziti a collaborare per decine di chilometri.
Dobbiamo pensare che queste persone siano dotate di capacitĆ fuori dal comune, che nessuno di noi potrĆ mai eguagliare? Sicuramente alcune di esse hanno vissuto esperienze particolari e le hanno elaborate in modo da poterne trarre il massimo vantaggio. Tuttavia non sono extra-terrestri, ma atleti molto ben allenati, dal punto di vista fisico ma anche da quello mentale, per poter gestire situazioni dolorose come quelle citate.
Iniziamo prendendo in considerazione il ādoloreā: la IASP (International Association for the Study of Pain) lo definisce come Ā«unāesperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata ad un danno tissutale in atto o potenziale, o descritta nei termini di tale dannoĀ». Questa definizione sottolinea un aspetto fondamentale: nellāesperienza dolorosa esiste una parte fisica ed una parte emotiva. Nel caso dellāattivitĆ sportiva ĆØ difficile che il dolore abbia unāorigine puramente psicologica, dato che uno sforzo intenso può provocare infiammazioni di tendini o articolazioni, oppure il muscolo può essere intossicato da scarti metabolici. Quindi, dando per scontato che il male che proviamo dopo un poā che corriamo non ce lo stiamo immaginando, resta da capire cosāĆØ lāaspetto emozionale, che rende il dolore soggettivo.

Innanzitutto, qualsiasi esperienza, positiva o negativa, si svolge in un certo contesto culturale e sociale, che definisce quale comportamento è accettabile e quale no. Naturalmente anche il dolore risente di questa influenza: basti pensare ad alcune popolazioni, che si sottopongono a riti alquanto dolorosi, o più banalmente a quanti ricorrono ai farmaci al primo accenno di malessere.
Tra i fattori individuali, lāaspetto fondamentale per gestire efficacemente il dolore ĆØ la valutazione cognitiva. Il cervello non riceve passivamente gli stimoli, ma li elabora, li interpreta e… risponde; la valutazione cognitiva ĆØ lāinterpretazione dello stimolo doloroso da parte della mente. Se il livello di dolore viene avvertito come sopportabile, lāattivitĆ può continuare, se il dolore viene interpretato come eccessivo, ci si ferma. Un meccanismo tanto semplice quanto problematico in alcune situazioni, ad esempio in gare importanti. Pensiamo agli Europei di maratona del 2010: Ruggero Pertile inizia a soffrire di crampi prima del 35°km, prova a resistere ma si vede costretto a fermarsi; dopo qualche istante riparte, ma viene presto superato e il podio diventa irraggiungibile.
Come fare a sopportare il dolore quando non ci si può fermare a piacimento? Da una parte ci vengono in aiuto le esperienze passate: se abbiamo giĆ affrontato un forte dolore, saremo in grado di sopportarne uno uguale o inferiore (se sono stato in grado di gestire un dolore intenso come un crampo, riuscirò a gestire anche i doloretti muscolari conseguenti ad un allenamento intenso). Dallāaltra ci aiuta lāattenzione: concentrarci sul male che proviamo in una determinata parte del corpo non fa certo diminuire il dolore, anzi, sembra quasi che lo aumenti. Al contrario, ĆØ utile āpensare ad altroā, concentrarsi sul ritmo di corsa, sugli avversari più vicini, distrarsi chiacchierando, canticchiando o pensando a qualcosa di piacevole.
Ricordiamoci comunque che il dolore non ĆØ sempre qualcosa di negativo da eliminare. Ć una sensazione fisiologica, necessaria alla sopravvivenza, serve per segnalare un rischio per il nostro fisico. Quindi va bene tentare di superare i propri limiti, ma mai esagerare e tanto meno ignorare gravi segnali di pericolo, come crampi diffusi, sudori freddi, senso di svenimento, aumento del battito cardiaco pur mantenendo unāandatura costante. PerchĆ© anche non saper riconoscere i propri limiti ĆØ un limite.
Nathalie Novembrini