70 anni di montagna per i Ragni della Grignetta, riuniti a Trento in occasione della serata conclusiva del 64° Trento Film Festival, curata da Sandro Filippini – penna di riferimento nell’Alpinismo – e a loro dedicata, in un intreccio tra passato, presente e futuro.
È il Teatro Sociale di Trento che, nella serata di venerdì 6 maggio 2016, fa da sfondo all’incontro dal titolo “Ieri, oggi e… Ragni. Legati soltanto al filo della storia”, dedicato allo storico gruppo lecchese de i Ragni della Grignetta. Sono infatti i loro maglioni rossi, sfoggiati con meritato orgoglio, a colorare il contesto di questo prezioso teatro che, come suggerisce Fabio Palma – presidente dei Ragni, nonché conduttore della serata – ospitando l’Alpinismo, lo rende forma d’arte.
Un gruppo storico quello dei Ragni, come racconta il presidente Fabio Palma, nato dal sogno di 5 ragazzi partigiani che, davanti all’orrore di una delle più grandi tragedie dell’umanità, crearono con semplicità un pretesto per stare insieme, per condividere una grande e incontenibile passione: quella per la montagna. Nasce così questo rinomato gruppo di alpinisti, fra le sponde lacustri di Lecco e le sue cime, a ridosso delle acque. Tanto vicine da divenire quasi normale, inevitabile l’andar per boschi e sentieri, seguendo quel richiamo che ogni appassionato ben conosce.
Certo i Ragni, nel corso di questi 70 anni, non si sono fermati alle montagne di casa e in questa serata, i giovani maglioni rossi, garanzie della vita futura del gruppo, racconteranno uno spaccato di storia, in un intreccio tra passato e futuro. Il giovane che racconta il vecchio, in un tempo fluido che non ha confini. Così, Fabio Palma affida la serata a tre giovani e promettenti Ragni – Matteo de Zaiacomo, Luca Schiera e Matteo della Bordella – incaricati di raccontare la storia del gruppo attraverso le imprese dei Ragni del passato, oltre che il presente, grazie alle loro fatiche sulle montagne. Matteo de Zaiacomo entra nel gruppo un anno e mezzo fa e ne diviene il membro più giovane con i suoi 23 anni. Dai blocchi della Val Masino ha compiuto un bel passo avanti, verso il Kirhgizistan nel 2014 e il Bhagirathi IV del 2015, in spedizione con Della Bordella e Schiera.
Matteo ci racconta di Riccardo Cassin, un uomo che è per lui, e non solo, una forma d’ispirazione. La salita che viene condivisa con il pubblico di Trento è quella sul Mc Kinley del 1961, quando Cassin ha 52 anni. Un’ impresa memorabile, una prima immortalata dalla copertina di Life, oltre a un lungo servizio, che comunque non ha potuto raccontare il freddo pungente della temperatura a -40 gradi, le difficoltà dell’instabilità meteorologica di questa montagna, la fatica di una salita di 3000 metri, che comunque porta in vetta tutta la cordata. Una conquista fondamentale per i Ragni, che assumono così il loro posto nel panorama dell’Alpinismo mondiale, senza scordare uno degli insegnamenti più umili del grande Cassin che viene regalato alla sala: “Ai giovani dico sempre che in montagna bisogna avere un po’ di paura, non troppa… La paura è l’anticamera della prudenza. Uno che non ha paura è un pazzo”.
Luca Schiera, prosegue il racconto introducendo Carlo Mauri e la sua salita dei 7925 metri del Gasherbrum IV nel 1958 con Cassin e Bonatti. Anche per lui è difficile raccontare di questo colosso, conosciuto soltanto attraverso racconti e letture, oltre ovviamente alle sue vie, pagine indelebili di roccia. Una via senza ripetizioni, per una cima che conta meno di 10 salite in vetta. Come sia stato possibile allora, con i materiali disponibili di quel tempo, è inspiegabile anche e soprattutto agli occhi esperti di Schiera, che sanno leggere le montagne e le vie di roccia che le attraversano. A chiusura del racconto, restano le parole Mauri, ancora una volta per porre attenzione rispetto al sentimento della paura: “Io la paura ce l’ho, sono un uomo, non un super uomo, l’ascolto… e mi fa considerare la mia fragilità. “ Paura che, ad ogni modo, non ha intaccato la curiosità di Mauri, a cui il venticinquenne Luca, seppur con un po’ di soggezione, si sente affine proprio per la voglia di scoprire nuovi luoghi. E che voglia! All’attivo, Luca vanta spedizioni in ogni dove, per 4-5 mesi all’anno, tra Pakistan, Patagonia, su diverse e impegnative vie.
Ricordando le celebri vette della Patagonia, il terzo e storico Ragno s’introduce praticamente senza presentazioni. Si tratta di Casimiro Ferrari che proprio in Patagonia si trasferì per aprirvi un rifugio, intitolato al compagno Mauri. La salita che ci viene presentata, per mano del Ragno Matteo della Bordella, è quella del Pilastro Est del Fitz Roy, salito insieme a Vittorio Meles nel 1976. 1300 metri di roccia verticale, sicuramente meno celebre della salita sul Cerro Torre, ma indubbiamente altrettanto affascinante, se non fosse solo perché irripetuta per più di 40 anni. È recentissima, infatti, la prima ripetizione per mano di di David Boscacci e Matteo della Bordella, che ne condivide l’esperienza, evidenziando l’importanza dello stile di salita – alpino e in libera – con cui è stata chiusa la ripetizione. Un grande progetto conquistato passo dopo passo e che oggi ha restituito la via pulita a chi volesse (e potesse ripeterla). Se la prima ascesa richiese 6 giorni, Matteo e compagno ne hanno impiegati 3, fra bivacchi in parete, data l’assenza di cenge.
Matteo incarna il futuro dell’Alpinismo dei Ragni e le sue spedizioni riflettono proprio questo approccio innovativo: uno stile polivalente che associa diversi discipline. Un esempio è la spedizione di Matteo in Groenlandia, caratterizzata da un avvicinamento di 250 km in kayak e altri 50 km a piedi. La serata si chiude con Palma circondato dai suoi compagni in maglione rosso, sullo sfondo delle immagini di Federico Bernardi.
Si torna a casa sempre un po’ più “piccoli” dopo queste serate, perché seppur con le proprie idee di alpinismo e di stile di salita, il confronto con questi grandi conquistatori dell’inutile è sempre spiazzante. Nella profonda umiltà di questi uomini, passati e presenti, si nasconde la grandezza dei sognatori, ancora capaci di guardare al mondo con occhi pieni di meraviglia.
Sara Taiocchi
ph. © Federico Bernardi
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