Casnigo, Bergamo. All’ombra del monte Farno 1250 slm, nel cuore della Valle Seriana, 38 anni fa nasce Pietro Lanfranchi. Un nome come tanti, ma non per gli appassionati di skialp ossia lo sci duro, quello che, alla discesa, unisce faticose risalite su pendii innevati, con pelli di foca o con gli sci caricati sulle spalle nei tratti più tecnici e pericolosi. Risolti i postumi della caduta in bici, Lanfranchi sta preparando Mezzalama, Adamello Ski Raid e Mondiali, che si terrano in Italia…

Pietro Lanfranchi nasce in una famiglia di sportivi e fin da piccolo si confronta con gli sport invernali, coltivando anche la sua grande passione per la musica. Sarà però l’esperienza della naja a fargli conoscere quella disciplina che poi diventerà per lui un impegno che lo porterà a vestire la maglia azzurra: lo scialpinismo. Una disciplina che unisce la bellezza evocativa dell’alpinismo all’adrenalinica velocità della discesa, un mix troppo affascinante per l’atleta bergamasco. Iniziare la pratica di uno sport endurance in età adulta, ottenendo i risultati di Pietro, non è ovviamente scontato. Dalle prime uscite con il Cai di Nembro e dopo molte – ma molte! – sciate, Pietro approda nel 2008 nel team Nazionale, dove è stato recentemente confermato anche per la stagione 2016/2017. Montagna Express ha fatto una chiacchierata con il “Lanfra” nazionale, per scoprire progetti e aspettative per il prossimo inverno, senza dimenticare di farsi raccontare della sua terra e soprattutto delle sue montagne.
Che cosa ti ha folgorato dello scialpinismo? Che cos’ha questa disciplina che le altre non hanno?
«Sicuramente la doppia anima di questo sport. Da un lato la sana componente della fatica, tipica di tutti gli sport di resistenza, dall’altra l’avventura e l’energia che si scatenano nella discesa. In entrambi i casi, per riuscire a portarsi a casa qualche buon risultato, è necessario dedicarsi con costanza e serietà. Per affrontare bene le salite, bisogna allenarsi con determinazione e anche se è davvero duro, i miglioramenti arrivano abbastanza in fretta. Riuscire a mantenere un alto livello rende necessario allenare sia salita che discesa, perché si gioca davvero tutto fino all’ultimo secondo: lo so bene io che ho perso un Mezzalama per 18 secondi. Inoltre, mi piace molto l’idea di immergermi in spazi sconfinati, in cui orientarsi è possibile soltanto grazie alle bandierine di tracciatura. È praticamente impossibile conoscere interamente il percorso di una gara di scialpinismo (a meno che non sia sulle montagne di casa) e mi piace la sensazione di “perdermi” nel contesto innevato della montagna».
In estate come fai?
«Sono anche un grande appassionato di ciclismo. Pratico sia bici su strada che off road e devo ammettere che ritrovo le stesse caratteristiche dello scialpinismo nell’enduro, a cui appunto mi dedico tantissimo durante i mesi estivi. Ci si allena con bici pesanti, risalendo pendii anche impegnativi, per poi scendere a rotta di collo, con il massimo divertimento».
Il Farno, le montagne della Valle Seriana e il Parravicini, la gara che ti ha consacrato. Che significato ha la terra bergamasca nella tua crescita come atleta?
«Nascere e vivere in valle, soprattutto all’inizio della mia esperienza scialpinistica, è indubbiamente stato un buon vantaggio, permettendomi di allenarmi relativamente vicino a casa. Purtroppo negli ultimi tempi le stagioni sono state poco nevose e a bassa quota la neve è stata poca o quasi assente, costringendomi a spostarmi. Il Parravicini è stato sicuramente un passo importante anche se, a dire la verità, sono riuscito a conquistare anche podi più prestigiosi (in Coppa del Mondo, nda) ma senza la stessa risonanza. Il Parravicini è infatti una gara a livello sia nazionale che internazionale e vanta forse il maggior numero di edizioni, pur non essendo la più antica. Nell’ambiente dello skialp, è perciò una competizione molto famosa e vincerla mi ha fatto conoscere molto di più rispetto ad altri posizionamenti, dove ho sciato a fianco di atleti del calibro di Kilian. È una gara importante a cui sono affezionato, ed essendo sempre a fine stagione gareggio molto volentieri.

Hai da poco concluso un periodo faticoso, dovuto alla frattura della clavicola, con complicanze anche al femore, a seguito di una caduta in bici. Che cosa ti ha insegnato questa esperienza?
«Sì, a settembre, durante un’uscita in bici su strada, sono caduto scendendo da Selvino, fratturandomi una clavicola e compromettendo gamba e bacino. In casi come questo, non l’unico per me, la testa diviene fondamentale. Crogiolarsi nei rimpianti e continuare a pensare ai costi conseguenti a simili incidenti non conduce lontano: significa affrontare il problema da perdenti, rischiando di commettere errori per la fretta di dover recuperare il tempo perso. Personalmente, cerco di accettare quanto successo, continuando a guardare avanti, come se nulla fosse accaduto e questo mi ha permesso di togliermi ottime soddisfazioni. L’infortunio nel mese di novembre – in un momento quindi delicatissimo per i carichi pre stagione – non mi ha comunque sfavorito nella stagione del 2010, sicuramente una delle migliori che ho concluso».
Cosa ti aspetti, quindi, dalla nuova stagione post infortunio?
(Ride, nda) «Guardo la prossima stagione in maniera positiva e speranzosa con la consapevolezza che farò tanta fatica, soprattutto all’inizio nelle prove vertical. Punto quindi alle garre di fine stagione, per dare il mio meglio negli obiettivi di stagione: Mezzalama, Adamello Ski Raid e Mondiali (ad Alpago, Belluno)».
Da fuori vediamo l’atleta, il campione, i sorrisi e le vittorie, ma sappiamo che non è facile condurre la vita di un atleta…
«È davvero difficile stare qua dentro, perché gli atleti professionisti sono sempre di più e la competizione è ad altissimo livello. Sono comunque contento della mia scelta, ho deciso di mantenere il mio lavoro e continuo a vedere lo scialpinismo come un hobby, conservando una buona serenità. Certo non è facile, perché per non trascurare mia moglie e i miei due bambini, mi alzo ogni mattina alle 5.30 per uscire ad allenarmi in bici o con il frontalino e gli sci. Dopo le mie tre ore di allenamento, vado al lavoro e la sera ho la possibilità di trascorrere del tempo a casa, con la mia famiglia. Ho trovato così il mio equilibrio».

Hai dei suggerimenti per chi ti guarda con ammirazione, sperando di raggiungere i tuoi successi?
«Una cosa che non manco di ricordare agli atleti giovani o a chi inizia è di non focalizzarsi sul gap enorme che li separa dagli atleti top. Non bisogna lasciarsi scoraggiare da questa differenza, ma al contrario raccoglierla come uno stimolo per vedere dove sia possibile arrivare. Io mi sono sempre chiesto come potessero andare così forte e questo mi ha condotto, con tanto impegno e fatica, a gareggiare ad armi pari e anche a battere atleti fortissimi. La convinzione di potercela fare può davvero portare a grandi risultati: la mentalità deve essere rivolta al successo e non alle difficoltà, supportata da un buon allenamento e da tanta costanza».
Infine, Lanfra… Perché non sei su Facebook?
«Inizialmente è stato un vero e proprio rifiuto. Mi sembrava una vetrina dove esibire vittorie e podi, un pretesto per collezionare foto di grandi successi. Io sono di profilo basso e vinco le mie gare per me, non per farlo vedere agli altri. Chiaramente i complimenti fanno sempre piacere, ma non mi ritrovavo nell’approccio dei social. Oggi mi rendo conto che Facebook, così come i social possano essere un ottimo veicolo di informazione e aggiornamento. Per me è comunque essenziale usarli bene, sfruttandone al meglio le caratteristiche, in modo da far trasparire una buona immagine di ciò che si è. Sto migliorando dai, sono già iscritto ad Instagram che, per ora, mi piace di più di Facebook».
Sara Taiocchi