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venerdì, Aprile 26, 2024

L’intervista di Bergamè a Pietro Lanfranchi

Nessuna smorfia di dolore e, se di fatica, mascherata sempre da un sorriso fresco e disarmante, incorniciato da una barbetta nera e furba, che esalta i suoi occhi penetranti. Così, spinge sulle racchette, in assoluta scioltezza, in salita come in discesa, Pietro Lanfranchi, che in Val Seriana chiamano “Il Lanfra”, vera icona dello scialpinismo “made in Bergamo”, il più titolato di questa dura, quanto affascinante, specialità del “circo bianco”.
Classe 1978, stella dello sci Club Valgandino e unico “non professionista” della squadra nazionale di skialp, il campione di Casnigo ha nella semplicità e nell’umiltà il suo punto di forza e nella grinta la sua arma vincente. Quella grinta che, unita ad una passione per lo sci incontrata solo a tarda età, quindi più convinta, lo ha portato a “scalare” gli anni, a conquistare trofei, medaglie e allori importanti, diventando uno dei più forti skialper internazionali, certamente uno dei “top five” italiani.
Incontrato durante le vacanze pasquali, in un momento di pausa forzata, conseguente ad un incidente rimediato nella mitica “Pierra Menta”, Pietro Lanfranchi non si è sottratto ad alcune domande. Ne è nato un faccia a faccia a tutto tondo che spazia dalla sua condizione atletica ad una panoramica sul movimento skialp orobico, e anche sulla grande passione che lega Bergamo e le sua vallate a questo sport, sinonimo di neve, montagna e libertà.
Lei è l’unico atleta di alto livello che non fa scialpinismo di mestiere. Gli altri membri della squadra nazionale sono tutti nell’Esercito.
“E’ vero siamo in otto nella nazionale di scialpinismo: cinque atleti fanno parte del gruppo sportivo Esercito, due hanno sponsor considerevoli o genitori facoltosi che consentono loro di praticare lo scialpinismo da professionisti, e poi ci sono io che non ho sponsor così forti e devo per forza lavorare per gestirmi la stagione. Comunque, ringrazio la Lamiflex (alta tecnologia dei compositi) di Ponte Nossa, che crede in me e mi sostiene economicamente durante. E ringrazio i miei sponsor tecnici, che mi forniscono i materiali: Ski trab (sci), La sportiva (scarponi), Crazy Idea (abbigliamento), Atk race (attacchi). Come detto, io lavoro, non sono un professionista. Sono tecnico elettrico esterno per la Itema (ex- Promatech), una ditta di macchinari tessili, in Val Seriana. Curo la parte elettronica. Mi alleno circa sei volte a settimana, almeno un’ora e mezza al giorno, ma certamente sarebbe molto meglio se avessi la testa solo nello sport. Ma forse sta proprio qui la mia fortuna: il fatto di non essere professionista mi fa avere un approccio diverso alla gara. Non devo dimostrare niente a nessuno. Io sparo tutto quello che ho in una gara, non ho l’obbligo di fare il risultato per forza, per dimostrare di essere forte”.
Prima il lavoro, poi lo sport, ma quando è nata la passione per lo scialpinismo?
“Io provengo da una famiglia di sportivi, sono figlio di un maestro di sci, da piccolo facevo sci alpino. Ho smesso quando avevo 15-16 anni, la mia passione era suonare la batteria. Ho provato lo scialpinismo solo quando ho fatto il militare, fra gli alpini: ero nel Soccorso Pista, a Corvara, In Alta Badia. Alla sera, quando si era in libera uscita, si andava nei rifugi: prendevo gli sci della naja, si saliva con le pelli e poi di notte si scendeva in neve fresca. Tornato dal servizio militare, ho continuato a suonare la batteria, in un gruppo di Pedrengo: si suonava tanto. La scintilla con lo scialpinismo è arrivata in concomitanza del cambio di lavoro: da collaudatore delle macchine, in Itema, in sede, ad assistente tecnico esterno. Dovevo andare in giro, nelle aziende, e non riuscivo più a garantire le serate al mio gruppo. Così, ho deciso di iniziare a praticare lo scialpinismo, scoperto durante il militare: dapprima, in modo normale, come dopolavoro, poi con un’attrezzatura sempre più leggera, finchè ho fatto un corso presso il CAI di Nembro, con l’istruttore Martino Cattaneo. E’ stato lui che per primo mi ha adocchiato: diceva che ero bravo, sapevo sciare bene e me la cavavo bene anche in salita. Da lì, le prime gare con lui, gli serviva un compagno: avevo 23 anni. E’ stato un anno di sofferenza, perchè prima non avevo mai fatto sport di resistenza: di solito, si comincia prima”.
E poi, via via, dalla Val Seriana alla nazionale…
“Le gare sono proseguite in tutte le stagioni, la mia preparazione è migliorata, la mia tecnica si è affinata, mi sono fatto conoscere, e così nel 2008 sono entrato nel giro della nazionale, partecipando ai Campionati Europei. Da lì, non sono più uscito, e ora mi confronto con i nomi più importanti della specialità in Italia e all’estero, togliendomi anche delle belle soddisfazioni”.
E la famiglia?
“La nascita di Riccardo ha cambiato un po’ le cose in casa, ha ridisegnato le mie priorità. Ogni volta che mi alleno mi sembra di portar via qualcosa alla mia famiglia, a Riccardo e a mia moglie Cristina. Ma devo allenarmi, per raggiungere certi risultati. Appena finisco di lavorare, infatti, vado sul monte Farno, alla sera, a girare nella pista di fondo dello Sci Club Valgandino, la Montagnina. So di rubare tempo alla famiglia, non sono un professionista come gli altri azzurri, ma dall’anno prossimo abbasserò il livello del mio impegno”.
Qual è lo “stato di salute” del movimento skialp in Bergamasca?
“Da sempre la Bergamasca è stata una terra di appassionati scialpinisti. Purtroppo, rispetto ad altre regioni, facciamo fatica a partire da giovani in questa specialità. Da noi, prima ci si butta su altri sport, poi si scopre lo scialpinismo. Invece, al giorno d’oggi, per diventare uno sci alpinista completo, bisogna cominciare già dalle categorie giovanili e crescere, acquisendo quegli automatismi e quella sicurezza che una volta maturi possono fare la differenza. Fortunatamente, da alcuni anni qualcosa si sta muovendo: grazie, per esempio, allo Sci Club13 di Clusone e allo Sci Club ValGandino, che hanno creato un bel gruppetto di appassionati; e, poi, è nato anche un comitato provinciale, che funziona come punto di riferimento per quei giovani che vogliono provare a praticare lo scialpinismo in versione agonistica. Piano piano i risultati sono sempre più entusiasmanti. La fortuna, poi, di avere avuto recentemente una prova di Coppa del Mondo, alla Presolana, ha portato a casa nostra il “top” degli atleti mondiali e ha messo sotto i riflettori dei mass-media questa specialità, dandole ulteriore fascino. In Bergamasca, infine, sta avendo sempre più successo il circuito “in notturna” “Sci e Luci nella notte, con tappe al Pora, a Colere, agli Spiazzi di Gromo, ad Aviatico, a Lizzola”.
Chi sono i grossi calibri della specialità?
“Fortissima è la scuola francese con il campione europeo e del mondo William Bon Mardion e altri “skialper” d’eccezione, come Matheo Jacquemoud, Xavier Gachet, Alexis Sevennec. Il campione italiano, invece, è Matteo Eydallin, ma il super-medagliato è Manfred “Manny” Reichegger. Inoltre, si stanno mettendo in mostra Damiano Lenzi, Lorenzo Holzknecht, Davide Galizzi, e i giovani Michele Boscacci e Robert Antonioli, che sono degli “under 23”. Attenti anche alla scuola svizzera, con Martin Anthamatten, Florent Troillet, Yannick Ecoeur e il forte sprinter Marti Marcel, e alla scuola spagnola, con il mitico Kilian Jornet i Burgada e il giovane Mart Pinsach”.
E le gare più famose?
“Per un bergamasco come me, il Trofeo Parravicini”, a Carona, in Alta Val Brembana, la corsa più vecchia, che ho già vinto due volte nel 2009 e nel 2010 e che si corre solitamente all’inizio di maggio: quest’anno, però, sarà in calendario il 21 aprile. Poi, ci sono l’Adamello Skiraid, il Sellaronda dove ho conquistato il secondo posto lo scorso anno, la Patrouille des Glaciers, che mi ha visto secondo nel 2010, e le super- gare, come il Pierra Menta, nelle Alpi del Beaufortain, in Alta Savoia, dove l’anno scorso ho fatto terzo, e il Mezzalama, la mitica “Maratona Bianca”, che si corre sul Monte Rosa. Proprio questa gara mi ha fatto venire i brividi: nel 2011, non l’ho vinta per soli 18 secondi, ma quel secondo posto è indimenticabile”.
E adesso come sta andando la stagione di Pietro Lanfranchi?
“Beh, sono veramente contento. Ho conquistato l’ottavo posto nell’individuale di Coppa del Mondo in Valle Aurina; il settimo posto nell’individuale di Coppa del Mondo in Svizzera, all’Alpinisk; il sesto posto sulle nevi di casa, alla World Cup Skialp3 Presolana – Memorial Castelletti, valevole come terza prova della Coppa del Mondo ISMF di scialpinismo; e il terzo e settimo posto in Coppa del Mondo ad Andorra. Inoltre, ho conquistato la quarta piazza ai mondiali di Pelvoux, in Francia. E alla mitica “Pierra Menta”, seppur acciaccato per una gran botta allo sterno rimediata con il mio compagno Reichegger, sono riuscito a concludere al settimo posto. Insomma, tutto sta filando verso la fine della stagione. Ho ancora tre gare davanti: la finale di Coppa del Mondo, a Tromso, in Norvegia, il 14 aprile; il Trofeo Parravicini, a Carona, il 21 aprile; e il Trofeo Mezzalama, sul Monte Rosa, il 28 aprile.
Ora, fuori dai tempi e dai piazzamenti, cos’è per lei lo scialpinismo?
“E’ contatto con il magico ambiente della montagna, d’estate come d’inverno; in particolare, nel periodo invernale, è immersione nel suo bianco splendore, lontani dalle folle chiassose delle piste da sci; ed è anche, questo per gli addetti ai lavori, sana fatica del salire e tecnica sopraffina dello scendere. E’ difficile descrivere il fascino di questa disciplina sportiva. Non bastano le parole, è il nome stesso che evoca la sua bellezza: sci più alpinismo. In pratica, l’unione di due tra gli sport più belli ed esaltanti della montagna. Le soddisfazioni “sudate” dell’alpinismo si uniscono all’allegria tipica dello sci da discesa, creando un “mix” unico, che per molti, anche per me, è più di un semplice sport: è uno stile di vita”.
Certo, ma occorre una certa preparazione, allenamento e anche esperienza…
“Meno di quanto si possa immaginare. Le ascensioni sono impegnative, è ovvio, notevoli i dislivelli da superare e insidiose le discese fuori pista, ma la giusta miscela fra allenamento e passione permette di superare tutte le difficoltà. Per fare scialpinismo non è indispensabile essere “alpinisti”. Il più delle volte è sufficiente essere dei buoni “escursionisti”, ben allenati fisicamente, preparati tecnicamente, ma non certo dei superuomini o degli “scavalca-montagne”. Questo per dire che lo scialpinismo non è uno sport per pochi. Con le dovute cautele, e con un approccio corretto, si tratta di una disciplina sportiva alla portata di molti. A me piace molto, perché a ben vedere lo scialpinismo è il modo probabilmente più completo e affascinante per percorrere e scoprire la montagna innevata, in grado di regalare grandissime soddisfazioni, e con molti meno pericoli di quanto comunemente si possa pensare”.

Per Bergamè, ENULA BASSANELLI

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